Great Resignation, è stato chiamato. Un fenomeno sociale scoppiato negli Stati Uniti, rapidamente sbarcato anche in Europa e in Italia. Una tendenza di massa a lasciare il proprio lavoro spontaneamente, spesso ispirata dai principi della cosiddetta Yolo Economy (acronimo di “You Only Live Once”): in base a questa concezione, diffusa soprattutto nel mondo anglosassone e in particolare tra giovani Millennials, va cambiata drasticamente la propria vita professionale, per trovare soluzioni più appaganti e flessibili.
In che modo ha coinvolto il nostro Paese? In Italia, tra luglio e settembre del 2021, si sono dimesse circa 524mila persone. Un aumento delle dimissioni che ha riguardato soprattutto gli uomini (70%) e – diversamente dal mondo anglosassone – non soltanto i giovani. Gli under 34 hanno avvertito in particolare il malessere psicologico legato al proprio lavoro: in base agli ultimi dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tra aprile e maggio 2021 il numero di dimissioni in Italia è cresciuto dell’85% rispetto allo stesso periodo nel 2020. E, secondo una recente ricerca condotta da Mindwork insieme a BVA Doxa, un lavoratore under 34 su due si è dimesso proprio per motivi legati al malessere psicologico. In un panorama professionale in cui l’80% degli intervistati ha affermato di aver sperimentato almeno un sintomo di burnout, questi numeri dimostrano quanto sia ancora più centrale oggi il benessere mentale sul lavoro.
Parlano chiaro anche i dati pubblicati dall’Associazione Italiana Direzione Personale (ADPI), dai quali emerge che le dimissioni volontarie fra i giovani coinvolgono il 60% delle aziende italiane. In quali settori? Soprattutto in quello Informatico e Digitale (32%), nella Produzione (28%) e nel Marketing e Commerciale (27%). Va notato che un aumento delle dimissioni è stato registrato anche nella sanità e nell’assistenza sociale, a causa dei fenomeni di burnout provocati dalla pandemia in questi settori così delicati. Sempre secondo l’ADPI, ad essere trascinate da questa tendenza a cambiare lavoro, sono soprattutto le persone nella fascia d’età tra i 26 e i 35 anni, per la maggior parte impiegate in aziende del Nord Italia.
Quali sono le motivazioni dietro questo fenomeno? Secondo un’autorevole analisi comparsa recentemente su The Guardian, «sono piuttosto varie»: la ripresa del mercato, la ricerca di condizioni economiche più vantaggiose ed il desiderio di costruirsi un maggior equilibrio tra lavoro e vita privata. Giocano poi un ruolo importante «l’inflazione in crescita, la mancanza di servizi adeguati per l’infanzia e le preoccupazioni per la salute riguardo al Covid». Basti pensare che nello scorso settembre e ottobre, negli Stati Uniti, sul mercato del lavoro si contavano 1,4 milioni di madri in meno rispetto agli stessi mesi del 2019. Un aspetto particolarmente preoccupante: «C’è un divario crescente tra l’impegno di madri e padri nel mondo del lavoro», osserva Misty Heggeness, economista presso l’Ufficio del censimento degli USA. «Se vogliamo davvero puntare all’uguaglianza di genere nel XXI secolo, dobbiamo farci i conti».
Anche la modalità dello smart working ha contribuito a provocare questo fenomeno, offrendo alle persone la possibilità di sperimentare una routine differente da quella cui erano abituate. E, perché no, anche di riuscire a gestire in libertà il proprio tempo, migliorando la qualità della vita. Non a caso, oggi il 73 % dei lavoratori in Italia afferma di voler continuare a lavorare in modo flessibile e a distanza. Rispetto all’importanza della regolamentazione del lavoro da remoto s’è mobilitato così il Governo, prorogando (per il settore privato) fino al 30 giugno il regime emergenziale per il lavoro da remoto. In contemporanea, in Parlamento ha preso il via l’iter del testo unico sul lavoro agile: lo scorso 16 marzo, infatti, la Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera ha approvato una proposta di legge in tal senso. Nel pubblico impiego, invece, già dal marzo 2021 era partito un percorso per vincere i vari ostacoli dovuti all’emergenza del Covid, puntando a ritornare al lavoro in presenza come modalità ordinaria e stabilendo delle “Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche”.
Cosa prevede la proposta di legge sul lavoro agile? Si definisce il concetto di lavoro agile, chiarendo che è una modalità a cui il lavoratore può aderire su base volontaria e che viene regolata tramite un accordo tra il singolo lavoratore e il datore di lavoro, con condizioni definite dalla legge. Il dipendente che lavora da remoto, inoltre, viene del tutto equiparato a quello che lavora in presenza. Vengono poi stabilite le categorie che possono accedere in modo prioritario a questa modalità di lavoro, prevedendo agevolazioni e incentivi per le aziende che acquisteranno strumenti informatici utili ai dipendenti per lavorare da remoto. Si introduce, inoltre, il diritto alla disconnessione, stabilendo degli orari che garantiscano il riposo del lavoratore: se il datore di lavoro violasse questo diritto, incorrerebbe nel reato di interferenze illecite nella vita privata. Quali sviluppi ci saranno, si vedrà nei prossimi mesi. Di certo, come emerge dai dati presentati, il mondo del lavoro non sarà più lo stesso.