Diritto

Riforma Ue sui dati: e la ricerca?

Il "Data Act" punta su un modello più accessibile, ma si dimentica dell'Università.

di Giappichelli / pubblicato 28 Ottobre 2022

Una rivoluzione a metà. Lo scorso 23 febbraio la Commissione europea ha adottato una proposta di legge che ha come obiettivo quello di rinnovare in modo dirompente il mercato dei dati. Si tratta di un tema su cui le istituzioni comunitarie si sono sempre dimostrate sensibili, ma i molti interventi legislativi, dal 2003 in poi, si sono rivelati generalmente poco efficaci. I dati sono probabilmente il vero strumento di potere nel mondo di oggi, occorrono regole che limitino il dominio delle grandi aziende private e delle big tech in particolare. L’”EU Data Act”  è un robusto pacchetto di norme che va in questa direzione: per la prima volta una normativa comunitaria impone alla grandi imprese l’obbligo di intervenire per rendere disponibile e facilmente consultabile il proprio database.

Certamente una svolta, che presenta, tuttavia, alcune criticità. Una su tutte: riguarda principalmente lo scambio tra aziende private (approccio Business-to-business), l’accesso ai dati per le istituzioni pubbliche è garantito soltanto nei casi in cui sia necessario, o in alcune circostanze eccezionali quali un’emergenza pubblica o lo svolgimento di un compito di interesse comune, per il quale non vi siano alternative. Una specifica, questa, volta a tutelare le aziende private da un eccessivo controllo esterno, ma che può generare grandi difficoltà per la ricerca. Nel mondo accademico ormai da anni si attendeva una legislazione sull’equo accesso ai dati, ma, in questo campo specifico, il testo proposto dalla Commissione non sembra in grado di rispondere alle questioni sollevate. Il rischio è che le università rimangano schiacciate dalla troppa differenza di risorse da investire in ricerca rispetto ai colossi del privato, precludendone l’attività accademica. Un danno insostenibile, perché la libertà di ricerca scientifica costituisce una delle basi su cui le democrazie traggono le proprie fondamenta.

riforma europea dei dati e ricerca

The Guild, associazione  che riunisce venti tra le più prestigiose università ad alta intensità di ricerca d’Europa, ha espresso tutta la sua preoccupazione sulla mancanza nell’ “EU  Data Act” di adeguate tutele a favore del mondo accademico. I punti maggiormente contestati sono quelli al capitolo 3 della normativa, in cui la Commissione impone solo per la diffusione dei dati tra privati l’obbligo che questi ultimi siano resi disponibili in modo trasparente e non discriminatorio. Oggetto di critiche anche la clausola (cap. 4, art. 15) , che fa riferimento a “bisogni eccezionali”, “emergenza pubblica” e “interesse pubblico”, come condizioni necessarie perché anche le istituzioni pubbliche possano accedere liberamente ai dati.

The Guild chiede dunque al Parlamento e al Consiglio europeo, prima dell’approvazione definitiva,  di inserire alcuni emendamenti “che riconoscano la ricerca quale attività cruciale per prevenire e reagire a un’emergenza pubblica”. Una modifica che consentirebbe alle università di chiedere direttamente l’accesso ai dati ai rispettivi proprietari.  Più in generale, nel comunicato si evoca la consacrazione della ricerca quale “bene comune, essenziale per rispondere alle sfide sociali che dobbiamo affrontare”. Con il “Data Act” l’Europa ha l’occasione per fare un passo concreto in questa direzione, senza disperdere le buone premesse alla base della riforma.

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