Diritto

Luci ed ombre della “riforma Cartabia” in una presentazione del professor Scalfati

In cosa consiste la legge che modifica il processo penale italiano? Quali novità introduce e quali problematiche presenta? Ne abbiamo parlato con il professor Adolfo Scalfati.

di Giappichelli / pubblicato 9 Marzo 2022

Con la legge n. 134/2021, sono state definite le linee guida per attuare la riforma del processo penale italiano. Quella che i media indicano come “riforma Cartabia”, la cui esatta denominazione è “delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”. Abbiamo chiesto ad Adolfo Scalfati, avvocato, professore ordinario di Procedura penale presso l’Università di Roma Tor Vergata e autore di varie opere per Giappichelli, di presentarci questa legge.

la riforma Cartabia presentata dal professo scalfati

Innanzitutto in cosa consiste la riforma?
La riforma sul diritto e sul processo penale, realizzata anche dietro la spinta del Ministro della Giustizia Marta Cartabia, si divide in due parti: una, riguarda norme immediatamente applicabili e, l’altra, attiene a previsioni che costituiscono linee direttrici della delega affidata al Governo da attuare nel giro di qualche mese. La riforma vorrebbe rendere il processo penale più contenuto nei tempi. Inoltre, interviene su alcune norme del Codice Penale nella prospettiva che la sanzione irrogabile non sia necessariamente quella carceraria: l’obiettivo è di riabilitare il condannato senza farlo passare attraverso la detenzione; sotto questo profilo, senza dubbio, la riforma è encomiabile e bisognerà vedere come funzionerà.

Quali sono le maggiori novità introdotte?
Una parte significativa della riforma è rappresentata dalla delega al Governo. Tra le statuizioni più discusse emergono le nuove regole di giudizio dell’udienza preliminare e dell’archiviazione. In particolare, cambia il metodo per stabilire se il processo deve andare avanti o fermarsi. In questo ambito l’intervento restringe molto le maglie: si ipotizza, dunque, che ci saranno meno processi destinati alla fase del giudizio e più vicende giudiziarie che termineranno con un’archiviazione o con una sentenza di non luogo a procedere.

la riforma Cartabia presentata dal professo scalfati

Da cosa deriva questa novità?
In base alle statistiche elaborate dal Ministero, sul territorio nazionale si constata un notevole numero di sentenze di proscioglimento emesse nel dibattimento che evidentemente non giustificavano l’esercizio dell’iniziativa da parte dell’accusa. Da qui, l’esigenza di norme più stringenti per regolamentare i presupposti in forza dei quali il pubblico ministero è legittimato ad esercitare l’azione penale.

Con quale fine?
Serve non solo a sfoltire il carico giudiziario, ma anche ad evitare che vengano celebrati processi sostanzialmente dannosi: subire un processo rappresenta un enorme peso per l’imputato, figuriamoci quando si conclude con una sentenza di proscioglimento.

In che modo la riforma tende a deflazionare il carico giudiziario?
Lo fa sia agevolando i procedimenti alternativi al dibattimento, sia ampliando i casi di procedibilità a querela, dunque, rimettendo al privato la scelta sul se deve procedersi. Si arricchiscono le ipotesi di non punibilità per la particolare tenuità del fatto e di estinzione del reato a seguito di messa alla prova: quest’ultimo è un istituto di recente introduzione nei procedimenti per imputati adulti che evita soprattutto un pieno giudizio sulla responsabilità.

la riforma Cartabia presentata dal professo scalfati

Secondo Lei quali criticità presenta, invece, la riforma?
Temo che non riuscirà a raggiungere il suo obiettivo, cioè, la ragionevole durata del processo. Soprattutto pensando alla disciplina della “improcedibilità dei giudizi di impugnazione”, il punto più controverso dell’intera riforma. Il meccanismo prevede che i tempi della prescrizione del reato possano essere integralmente consumati durante il processo di primo grado; ad esempio, per un reato che prevede tempi di prescrizione di dieci anni, il processo di primo grado può durare anche dieci anni. Successivamente, il decorso della prescrizione è sospeso o addirittura cessa: durante le fasi d’impugnazione, inizia a correre un altro termine che darebbe luogo (se superato) ad una sentenza di non doversi procedere, cioè il processo si arresterebbe definitivamente. Va detto che esistono molte deroghe alla tempistica, come nell’ipotesi di taluni reati più gravi, dove il giudice può prorogare i termini senza un limite massimo. Dunque, complessivamente, tra il processo di primo grado e il processo per le impugnazioni, l’accertamento giudiziario potrebbe essere molto più lungo rispetto ad oggi, dove la durata si fonda unicamente sui tempi della prescrizione del reato.

Così, non si otterrebbe una maggiore contrazione dei tempi processuali…
Credo che in questo modo non si agevoli la tempestiva celebrazione dell’intero processo. È il problema del doppio orologio: uno è misurato sui tempi della prescrizione del reato, dove le lancette camminano fino al giudizio di primo grado. A partire dall’impugnazione si cambia totalmente registro e i tempi sono commisurati secondo il nuovo istituto dell’improcedibilità. Credo che qui si porranno moltissime questioni interpretative, oltre che incidenti di legittimità costituzionale.

Quali altri limiti intravvede?
Avrebbe meritato maggior attenzione, da parte di una riforma destinata ad influire sui tempi, la fase delle indagini preliminari: è stata appena lambita, senza risolvere il problema dei termini massimi entro i quali il pubblico ministero deve formulare le sue scelte finali, tra richiesta di archiviazione o esercizio dell’azione penale: lo sforamento di quei termini non comporta conseguenze da un punto di vista processuale. Un altro aspetto sul quale porre l’attenzione è l’inammissibilità delle impugnazioni. Nella prospettiva dell’accusato, l’impugnazione è uno strumento difensivo che serve a reagire contro una decisione sfavorevole. Invece, emerge una certa contrazione della disciplina, a discapito di fatto della figura dell’imputato, soggetto processualmente più debole rispetto al pubblico ministero.

In che modo si sarebbe potuto intervenire?
Ad esempio, limitando il potere del pubblico ministero di appellare la sentenza di proscioglimento: non dimentichiamo che il pubblico ministero, nell’impugnare una decisione, concorre ad allungare i tempi del processo nonostante egli disponga di un amplissimo ventaglio di strumenti per provare la colpevolezza dell’imputato durante tutto il giudizio di primo grado.

Riforma Cartabia
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