La scuola attende sotto l’albero un regalo necessario ma che non tutti sembrano vivere con particolare entusiasmo. Entro la fine del 2022 il Ministero dell’Istruzione e del Merito dovrà finalizzare le sei riforme che fanno parte del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvate durante la scorsa legislatura ma non ancora formalizzate con i decreti attuativi necessari.
Uno dei punti più critici e dibattuti dai sindacati degli insegnanti (è stato al centro dello sciopero generale del 30 maggio scorso) è quello che riguarda le nuove modalità di reclutamento dei docenti della scuola secondaria. La legge quadro n. 79 del 29 giugno 2022 lasciava a un successivo Dpcm attuativo il compito di stabilire i contorni del nuovo percorso di abilitazione che, nei propositi dell’ esecutivo, dovrebbe garantire il reclutamento di 70 mila nuovi insegnanti entro il 2024. Quel Dpcm, tuttavia, non è ancora arrivato. Spetterà ora al governo Meloni, e in particolare ai neo ministri di Istruzione e Università, Valditara e Bernini, dare attuazione alla riforma. Le dichiarazioni del titolare del dicastero di viale Trastevere effettuate nelle scorse settimane sembrano confermare che la nuova struttura legislativa sarà confermata.
In cosa consiste la riforma del reclutamento
Se, come probabile, i decreti attuativi non stravolgeranno l’impianto della riforma, le novità principali saranno rappresentate da l’allungamento del percorso formativo obbligatorio per accedere al concorso pubblico nazionale e l’istituzione di un periodo annuale di prova in servizio successivo a quest’ultimo.
Il programma del ciclo di studi, da frequentare parallelamente al percorso universitario, passa dunque dai 24 Cfu ai 60 Cfu, e le aggiunte riguardano principalmente l’introduzione di tirocini e laboratori, che garantiscono circa un terzo dei crediti. Aumentare la componente di esperienza pratica durante la formazione dei futuri insegnanti era infatti una delle priorità di Bianchi, insieme al rendere più certa la strada per i ragazzi intenzionati a intraprendere seriamente questa carriera. I Cfu restanti si ottengono tramite altri tipi di attività formative e con la prova finale a conclusione del modulo, articolata in una verifica scritta e una lezione simulata. Al termine del percorso si ottiene l’abilitazione all’insegnamento, oltre alla possibilità di accedere al concorso ordinario.
In ogni caso, la riforma sarà pienamente operativa solo a partire dal 2025: fino a quel momento è prevista una fase transitoria, durante la quale sono concesse delle deroghe. In particolare, chi ha conseguito i 24 Cfu previsti dalla vecchia norma entro il 31 ottobre 2022, potrà comunque iscriversi al concorso fino al 31 dicembre 2024, ma in caso di superamento, dovrà compensare con ulteriori 30 Cfu da ottenere in un momento successivo. Parallelamente, per evitare di bloccare le assunzioni di nuove insegnanti, a chi inizia ora il nuovo percorso da 60 crediti formativi, fino al 31 dicembre 2024, basteranno 30 CFU per partecipare al concorso. Anche in questo caso entro il primo anno di immissione in servizio bisognerà integrare i crediti mancanti.
I dubbi degli insegnanti
Fin dalle diffusione delle prime bozze, la risposta dei sindacati della scuola è stata mediamente critica. Tra le principali questioni sollevate, ci sono la lunghezza del percorso per diventare insegnanti di ruolo (oltre al ciclo formativo e al concorso, come detto, è previsto anche un anno di prova in servizio con annesso test finale), e i periodi di tirocinio, secondo alcuni una forma di lavoro senza retribuzione.
Questo e altri temi sono stati al centro del tavolo dell’incontro delle scorse settimane tra il ministro Valditara e le parti sociali. L’esito del colloquio è stato definito positivo da entrambe le parti: Valditara non sembra in ogni caso intenzionato a stravolgere l’impianto della riforma con i decreti attuativi, che comunque, non sono ancora arrivati. E al 2023 manca sempre meno.